Si stringe il cerchio sul virus che potrebbe causare la sclerosi multipla

Ultima modifica: 12 Gennaio 2023

Uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Science definisce meglio il ruolo del virus di Epstein-Barr nello sviluppo della sclerosi multipla. L’infezione provocata dal virus della mononucleosi infettiva aumenta di 32 volte il rischio di ammalarsi di sclerosi multipla.

Il commento del Dr. Mauro Zaffaroni, Direttore del Centro Sclerosi Multipla di Gallarate.


Da tempo si ritiene che la sclerosi multipla (SM) possa essere causata da un’infezione virale. Tra i diversi virus chiamati in causa, i maggiori sospetti cadevano sul virus di Epstein-Barr (EBV), un membro della famiglia degli herpesvirus che è causa di una patologia molto diffusa e spesso asintomatica: la mononucleosi infettiva.

Diversi studi avevano presagito un ruolo di questo virus nella SM. Anzitutto una percentuale prossima al 100% di positività agli anticorpi anti-EBV, spesso a titoli elevati, nelle persone adulte con SM e la presenza di tracce del virus nelle lesioni demielinizzanti. Uguali percentuali di positività si riscontrano anche nella SM pediatrica, suggerendo che l’incontro con il virus avvenga nelle fasi più precoci della malattia. Tutti questi indizi, però, non erano sufficienti per confermare una relazione causa/effetto tra le due malattie.

La recente pubblicazione di Bjornevik e collaboratori (1) ha ulteriormente chiarito il possibile ruolo di una pregressa infezione da EBV nello sviluppo della SM. Con la collaborazione dell’esercito statunitense è stato possibile condurre uno studio prospettico su una casistica di oltre 10 milioni di soggetti in servizio tra il 1993 e il 2013. Poiché i militari venivano regolarmente sottoposti a controlli clinici ogni due anni sin dall’arruolamento, i ricercatori hanno potuto esaminare una parte degli oltre 62 milioni di campioni di siero conservati nell’archivio dell’esercito. In questo modo è stato possibile individuare il momento di comparsa degli anticorpi anti-EBV in 801 dei 955 militari che si sono ammalati di SM. Ovviamente è stato studiato anche un gruppo di controllo rappresentato da 1566 militari dalle analoghe caratteristiche anagrafiche e con campioni di siero raccolti nelle stesse date, che però non si sono ammalati di SM.

Ebbene, in un solo caso l’ultimo campione di sangue prelevato prima della comparsa della SM è risultato negativo per la presenza di anticorpi anti-EBV. All’epoca del primo test disponibile, 35 persone del gruppo SM e 107 di quelle non affette dalla malattia erano sieronegative ma poi solo 1 dei 35 non ha sviluppato anticorpi anti-EBV nel lungo periodo di osservazione. La metodologia prospettica ha permesso quindi di stimare da 2 a 15 anni (mediana 7.5 anni) il tempo intercorrente tra la sieroconversione all’EBV e l’esordio della SM.

La netta differenza tra la frequenze di sieroconversioni nei soggetti che hanno poi sviluppato la SM (97%) rispetto a coloro che non si sono ammalati (57%) ribadisce la forte correlazione tra l’infezione virale e la malattia neurologica. I ricercatori hanno ricercato il genoma di altri 200 virus, incluso il citomegalovirus che analogamente a EBV si trasmette con la saliva, ma nessuno di essi è risultato così strettamente correlato alla SM. Questo dato indica che la fase pre-clinica e la fase iniziale della SM non sono associate ad alterazioni immunitarie favorenti le infezioni virali in generale.

L’analisi statistica ha stabilito che il rischio di ammalarsi di SM nei soggetti che si sono sieroconvertiti a EBV è di 32,4 volte più elevato rispetto a coloro che sono rimasti sieronegativi. Nessuno dei fattori di rischio fino ad oggi descritti nella SM ha mai raggiunto un simile forte livello di correlazione.

Nell’articolo vengono riportati altri dati emersi dallo studio, tra i quali la comparsa nel siero di neurofilamenti (un biomarcatore di degenerazione dei neuroni) dopo la sieroconversione anti-EBV, prima che comparissero le manifestazioni cliniche della SM.

Bjornevik e colleghi avanzano anche ipotesi di meccanismi fisiopatologici che potrebbero spiegare come la pregressa infezione da EBV possa favorire lo sviluppo della SM. In particolare, la capacità di EBV di insediarsi permanentemente nei linfociti B della memoria immunitaria, cellule che si ritrovano nei focolai infiammatori persistenti di alcune particolari lesioni della SM nel sistema nervoso e che oggi costituiscono uno dei principali bersagli terapeutici della malattia.

Data l’altissima diffusione della mononucleosi, pari al 95% nella popolazione generale, è tuttavia evidente che l’infezione virale non può essere fattore sufficiente per innescare i meccanismi patogenetici della SM, e quindi devono necessariamente intervenire altri fattori di predisposizione, con tutta probabilità genetici e immunologici, come ci hanno suggerito innumerevoli studi nei decenni passati.

Questo fondamentale lavoro apre nuove e rivoluzionarie prospettive e rafforza il razionale per accelerare le ricerche per realizzare un vaccino anti-EBV, che potrebbe addirittura prevenire la SM e altre note patologie causate da questo virus.

(1) K. Bjornevik et al. Science 10.1126/science.abj8222 (2022)