Ultima modifica: 13 Settembre 2023
Il 15 marzo ricorre la Giornata Mondiale dei Disturbi del Comportamento Alimentare, ovvero la Giornata del Fiocchetto Lilla, che focalizza l’attenzione (e vuole sensibilizzare) sulle disfunzioni dell’alimentazione oggi associati, anche, alla recente pandemia.
Deliberata ufficialmente nel 2018 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, la ricorrenza vuole favorire e promuovere l’attenzione degli italiani su patologie alimentari che “usano” il corpo come mezzo per comunicare un disagio profondo che, spesso, passa attraverso meccanismi psico-biologici che conducono alla malattia.
Secondo quanto riportato dal Ministero della Salute, negli ultimi anni si è verificato un significativo abbassamento dell’età di esordio, dato che può causare danni duraturi per la salute di chi ne soffre. Le statistiche del Centro Nazionale per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie, relative agli anni della pandemia, hanno riportato un aumento importante dei disturbi alimentari in Italia, attestandosi ad un +30% rispetto agli anni precedenti. Nel nostro paese circa 3 milioni di giovani soffrono di disturbi del comportamento alimentare e, molto spesso, questo fenomeno viene sottovalutato sia dal malato che dai suoi familiari.
Nella seguente intervista, la Dottoressa Maria Pigni, Neuropsichiatra Infantile ASST Valle Olona, Presidio di Gallarate, risponde ad alcune domande su questo fenomeno crescente.
A proposito di DCA (Disturbo dei Comportamenti Alimentari), quali sono i casi tipici?
I disturbi del comportamento alimentare sono delle patologie complesse, con potenziali complicanze anche gravi dal punto di vista organico, legate allo stato di malnutrizione, al basso peso corporeo e anche alle condotte di eliminazione che possono essere presenti, oltre alla coesistenza di numerose comorbidità, queste a livello somatico e psichiatrico che possono essere associate al quadro clinico presente. L’impatto sulla salute psicofisica del paziente è senza dubbio grave, e gli effetti negativi si ripercuotono anche sulle relazioni sociali e familiari.
L’anoressia nervosa esordisce con una dieta estremamente restrittiva e, successivamente, il paziente perde il controllo. I soggetti cominciano a prediligere cibi come frutta, verdura, talvolta seguono una dieta vegetariana, e in alcuni casi alla restrizione alimentare associano anche una restrizione idrica. Il paziente si considera solo in termini di peso e forma fisica, si considera grasso anche quando, in realtà, è molto magro. La caratteristica principale di questo disturbo è la presenza di un’alterazione dell’immagine corporea, definita dismorfofobia.
Nel caso della bulimia, invece, sono presenti dei condotti disfunzionali che prevedono abbuffate incontrollate, associate a condotte di eliminazione autoindotte. In questo caso, i pazienti mantengono generalmente un normopeso.
Per contro, nel caso del Binge Eating Disorder (letteralmente, disturbo da alimentazione incontrollata), il paziente si abbuffa ma a ciò non fa seguito un’eliminazione compensatoria, quindi lo stesso tende ad essere caratterizzato da un significativo incremento ponderale.
Con che frequenza si manifestano e quali sono le eventuali differenze di genere ed età?
Di recente si è verificato un incremento importante dei casi di DCA. Prima del 2020, la frequenza si attestava all’incirca tra l’1 e il 4% tra la popolazione giovanile, mentre tra il 2020 e il 2021 si è registrata una crescita notevole, attorno al 30% dei casi, a causa della pandemia. I disturbi alimentari in generale sono 3-8 volte più frequenti nel sesso femminile. Attualmente, nella pratica clinica, stiamo osservando un incremento anche nella popolazione maschile, ma il loro numero rimane comunque piuttosto limitato, se paragonato a quello femminile. L’età di insorgenza di questi disturbi generalmente è intorno ai 12-15 anni, in piena adolescenza, anche se purtroppo ultimamente si registra un abbassamento dell’età, e in alcuni casi l’età di esordio può essere di 8-10 anni. Ciò è dovuto, almeno in parte, al contesto sociale e ambientale in cui i pazienti vivono, oltre evidentemente proprio a causa della pandemia.
Quali sono i campanelli d’allarme che i genitori devono tenere a mente?
In generale, ciò di cui i genitori devono tenere conto sono le modifiche del comportamento alimentare (rifiuto/riduzione del cibo, dell’acqua, condotte di autoeliminazione del cibo ingerito, calo del peso), le eventuali alterazioni del ciclo mestruale, l’isolamento sociale. Ma anche l’aumento spasmodico delle ore di studio e l’incremento delle performance scolastiche, che porta il soggetto (più spesso le ragazze) ad andare a letto tardi la sera proprio per raggiungere quel perfezionismo che si è autoimposto.
Nel caso dell’anoressia, poi, con un’incidenza tra il 30 e l’80% si verifica l’iperattività fisica, quest’ultima volta al raggiungimento del calo ponderale. Soprattutto le ragazze cominciano a praticare esercizi e attività motoria in maniera ritualizzata, non solo per perdere peso, ma anche per regolare gli stati emotivi (ansia, depressione, sensazione di fame).
Quali gli esami cui una persona che soffre di DCA deve sottoporsi?
E’ sempre indicato rivolgersi inizialmente al proprio medico curante (pediatra o medico di medicina generale), che invierà il paziente dallo specialista nei casi entro i 18 anni viene consigliata una prima visita neuropsichiatrica infantile, oltre i 18 anni una prima visita psichiatrica. Sono prescritti approfondimenti clinico-strumentali tra cui profilo di esami generali, comprensivi di emocromo, dosaggio proteico, funzionalità epatica, renale e tiroidea, oltre ad esami che vadano a escludere eventuali patologie legate al malassorbimento (p.e. celiachia). E’ importante anche effettuare un dosaggio del profilo ormonale (nelle giovani donne, potrebbe esserci un’alterazione del ciclo ormonale, che può sfociare anche nell’amenorrea o in un menarca ritardato) e il dosaggio della Vitamina D. Viene effettuato un elettrocardiogramma, perché può verificarsi un’alterazione della frequenza cardiaca; si programma una visita ginecologica. Da qui, si valuta poi caso per caso.
Come è opportuno rapportarsi con un figlio/a che soffre di questa problematica?
In base all’esperienza clinica, ciò che mi sento di consigliare è, prima di tutto, un atteggiamento di ascolto: è importante comprendere la causa scatenante, l’origine specifica del malessere. Spesso l’adolescente non è consapevole del motivo che l’ha portato a instaurare questo disturbo. Talvolta la causa non è così facilmente ricostruibile. Mi sento anche di consigliare di non banalizzare la sintomatologia, soprattutto all’esordio, ma di prenderla sul serio già alle primissime avvisaglie. E’ fondamentale dare la giusta importanza al primo sintomo presente, come espressione di un disagio che, se preso per tempo, può fare la differenza nel percorso di cura, oltre che nello sviluppo della malattia. Desidero sottolineare anche l’importanza della preoccupazione del genitore: gli adolescenti non chiedono aiuto direttamente, pensano di stare bene e andrebbero avanti nel loro comportamento disfunzionale. Il fatto di vedere i genitori preoccupati e interessati alla loro situazione è la prima modalità di accesso nel supportare, concretamente, il proprio figlio o la propria figlia.
Molti adolescenti instaurano un disturbo alimentare quando si sentono “non visti” dai propri genitori. E’ quindi un modo, ovviamente disfunzionale, che i giovani trovano per sentirsi considerati. Il genitore che si rende conto della presenza di questo tipo di disturbo deve attivarsi subito e chiedere aiuto agli specialisti, prima che la situazione peggiori e si cronicizzi. E’ importante non farsi mai sopraffare dal senso di colpa.
Quali sono le tempistiche di guarigione e quali i percorsi terapeutici da seguire?
Non è possibile dare una risposta univoca, perché ogni caso è a sé. Le tempistiche di guarigione dipendono dal tipo di disturbo alimentare, da eventuali comorbidità, dalla comparsa/durata della malattia e dalla compliance del paziente al progetto di cura.